Penso che, alle parole del ministro #Piantedosi e a tutti coloro che per un attimo avessero pensato che egli potesse avere anche ragione, la migliore risposta sia questa struggente e intensa poesia scritta da Warsan Shire che ho trovato nel "mare" di internet.
Impressionante come queste poche parole possano farci immedesimare nella disperazione in cui uomini e donne identici a noi possono essersi ritrovati con i loro figli per prendere una così estrema (e apparentemente irrazionale secondo Piantedosi) decisione: partire e rischiare la vita.
Leggete e tacete.
“Nessuno lascia la casa a meno che” di Warsan Shire
Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo
scappi al confine solo quando vedi tutti gli altri scappare i tuoi vicini corrono più veloci di te il fiato insanguinato in gola il ragazzo con cui sei andata a scuola che ti baciava follemente dietro la fabbrica di lattine tiene in mano una pistola più grande del suo corpo lasci la casa solo quando la casa non ti lascia più stare
Nessuno lascia la casa a meno che la casa non ti cacci fuoco sotto i piedi sangue caldo in pancia
qualcosa che non avresti mai pensato di fare finché la falce non ti ha segnato il collo di minacce e anche allora continui a mormorare l’inno nazionale sotto il respiro/a mezza bocca solo quando hai strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto singhiozzando a ogni boccone di carta ti sei resa conto che non saresti più tornata.
devi capire che nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno si brucia i palmi sotto i treni sotto le carrozze nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion nutrendosi di carta di giornale a meno che le miglia percorse son siano più di un semplice viaggio
nessuno striscia sotto i reticolati nessuno vuole essere picchiato compatito
nessuno sceglie campi di rifugiati o perquisizioni a nudo che ti lasciano il corpo dolorante
né la prigione perché la prigione è più sicura di una città che brucia e un secondino nella notte è meglio di un camion pieno di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare nessuno può sopportarlo nessuna pelle può essere tanto resistente
II
andatevene a casa neri rifugiati sporchi immigrati richiedenti asilo che prosciugano il nostro paese negri con le mani tese e odori sconosciuti selvaggi hanno distrutto il loro paese e ora vogliono distruggere il nostro
come fate a scrollarvi di dosso le parole gli sguardi malevoli
forse perché il colpo è meno forte di un arto strappato o le parole sono meno dure di quattordici uomini tra le cosce perché gli insulti sono più facili da mandare giù delle macerie delle ossa del corpo di tuo figlio fatto a pezzi.
voglio tornare a casa, ma casa mia è la bocca di uno squalo casa mia è la canna di un fucile e nessuno lascerebbe la casa a meno che non sia la casa a spingerti verso il mare
a meno che non sia la casa a dirti di affrettare il passo lasciarti dietro i vestiti strisciare nel deserto attraversare gli oceani
annega salvati fai la fame chiedi l’elemosina dimentica l’orgoglio è più importante che tu sopravviva
nessuno se ne va via da casa finché la casa è una voce soffocante che gli mormora all’orecchio vattene scappa lontano adesso non so più quello che sono so solo che qualsiasi altro posto è più sicuro di qua.
Warsan Shire è una scrittrice, insegnante e poetessa britannica nata nel 1988 da genitori somali in Kenya. Le sue poesie sono frutto dell’esperienza personale, accorati inni di umanità capaci di emozionare e commuovere i lettori. Nel 2013 è stata insignita del Brunel University African Poetry Prize, selezionata fra oltre 600 artisti. Il componimento che abbiamo letto oggi, “Nessuno lascia la casa a meno che” è diventato il simbolo della lotta per i diritti dei migranti di tutto il mondo.
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